Il giudizio è un gesto istintivo della mente.
Arriva in un attimo: vediamo, sentiamo, incontriamo… e subito la mente classifica: “giusto o sbagliato?”, “bello o brutto?”, “mi piace o no?”. Un riflesso automatico, spesso invisibile, ma potente. Accade ovunque: mentre osserviamo qualcuno per strada, durante una pratica di Yoga in cui ci sentiamo “fuori forma”, o quando un pensiero ci attraversa e già stiamo decidendo se sia accettabile oppure no.
Giudicare è umano, un modo antico di orientarci nel mondo. Ma cosa succede se non ce ne accorgiamo? Se viviamo attraverso il filtro costante del giudizio, rischiamo di perdere contatto con ciò che è, così com’è. Questo non è un invito a cancellare il giudizio: non si può! La domanda non è: “Giudico?”, ma: “Cosa cambia in me quando mi accorgo che sto giudicando?”
Questo articolo nasce dal desiderio di esplorare il giudizio non come nemico, ma come messaggero. Perché il giudizio, se osservato con attenzione e senza pregiudizio, può diventare una porta verso una consapevolezza più ampia e un discernimento più autentico.
Giudizio, pregiudizio e discernimento; tre voci diverse della stessa mente
Giudicare significa andare oltre l’osservazione: la mente interpreta, classifica, conclude. Spesso in modo rigido e automatico. Il pregiudizio è una forma ancora più radicata e inconsapevole di giudizio: un’opinione preconfezionata, ereditata o assorbita, che si attiva prima ancora dell’esperienza diretta. Va distinto dal discernimento, che invece è frutto di presenza, ascolto, apertura. Se il giudizio divide, il discernimento unisce. Se il pregiudizio limita, il discernimento espande.

Definizione e natura
Origine del giudizio Evolutivamente, giudicare è servito a distinguere ciò che era sicuro da ciò che non lo era. L’amigdala, che elabora le emozioni, e la corteccia prefrontale, che pianifica, lavorano insieme nel processo. Ma oggi, molte situazioni che giudichiamo non sono questione di sopravvivenza. Eppure il meccanismo resta attivo, spesso in modo sproporzionato.
Anche nella pratica Yoga accade: basta un’asana per far emergere la voce interiore: “Dovresti essere più flessibile”, “Non sei abbastanza bravo”. È il momento in cui l’esperienza si trasforma in prestazione. Ma proprio lo Yoga ci insegna a tornare al corpo, al respiro, al presente. Ed è lì che inizia la trasformazione.
Pregiudizio: il giudizio che non si vede Il pregiudizio è il giudizio che si mimetizza, che si presenta come verità scontata. Può nascere da un’educazione, da una ferita, da uno stereotipo culturale. È il “già deciso” che filtra la realtà ancor prima che possiamo davvero incontrarla. Riconoscerlo richiede coraggio e umiltà: smascherare i nostri automatismi più radicati significa aprirsi alla possibilità di vedere diversamente.
Discernimento: la via della consapevolezza Il discernimento, a differenza del giudizio, nasce da uno spazio più quieto e presente. È la capacità di valutare senza condannare, di vedere senza separare. È una qualità che si affina con la pratica, attraverso l’ascolto, l’esperienza diretta e l’assenza di reazione immediata. Il discernimento è la bussola della saggezza: non divide il mondo in bianco o nero, ma accoglie le sfumature.
Il giudizio, tra condizionamento e automatismo
Molti giudizi non sono davvero “nostri”. Sono frutto di condizionamenti: educazione, esperienze, cultura, schemi familiari. Un insieme interiorizzato che genera una voce nella mente che ci dice come dovremmo essere. Questo rende il giudizio un automatismo: si attiva senza riflessione. Valutiamo tutto, anche il nostro stesso sentire, senza accorgercene.
Ma di chi è quella voce? Spesso è l’ego, che cerca controllo o approvazione. La mente che divide tutto in categorie. Riconoscere questo meccanismo è il primo passo verso una presenza più autentica.

Il giudizio ha anche una funzione utile?
Non tutto il giudizio è nocivo. Esiste anche un giudizio costruttivo: quello che discerne, orienta, protegge. Non si tratta di eliminare il giudizio, ma di imparare a usarlo con consapevolezza. Quando nasce da lucidità e cuore, può diventare uno strumento di crescita.
Ci aiuta a dire di no, a scegliere, a valutare con chiarezza. Il problema è quando diventa rigido, automatico, autocritico o proiettato sugli altri. In quel caso, si trasforma in una gabbia. L’equilibrio sta nel distinguere il giudizio utile da quello che ci limita. E il discernimento è la chiave per fare questa distinzione.
L’impatto del giudizio su di sé e sugli altri
Il giudizio lascia sempre un’impronta.
Su di noi: la voce critica logora l’autostima, separa dal corpo e blocca l’autenticità.
Sugli altri: crea distanza, chiude all’ascolto, impedisce la connessione.
Ciò che giudichiamo negli altri spesso parla di noi. Accorgerci dell’effetto dei nostri giudizi è un atto di responsabilità. Non si tratta di accettare tutto passivamente, ma di scegliere di osservare prima di reagire. Guardare con occhi più vivi.

Tecniche per osservare il giudizio senza identificarsi
Nomina il giudizio: “Questo è un giudizio”. Semplice, diretto. Lo riconosci, non lo combatti.
Osserva il corpo: ogni giudizio ha un effetto fisico. Spalle tese, stomaco chiuso… ascoltalo.
Scrivi: se un giudizio ritorna, scrivilo. Lo ridimensiona, lo rende visibile.
Pratica il non-giudizio sul tappetino: ogni posizione è un incontro, non una performance.
Medita: osserva i pensieri passare, come nuvole nel cielo.
Queste pratiche non chiedono sforzo, ma presenza. Con il tempo, sciolgono il potere del giudizio e sviluppano la capacità di discernere.
Come trasformare il giudizio in consapevolezza
Il giudizio è un messaggero. Ogni volta che giudichiamo, si apre la possibilità di conoscerci meglio.
Scoprine l’origine: è paura, controllo, ferita?
Usalo come specchio: cosa ci riflette?
Porta compassione: accettare di giudicare fa parte del percorso.
Radica nella pratica e nella vita: osserva, ascolta, resta presente.
Trasformare il giudizio in consapevolezza è un atto di amore. Un modo più autentico di stare al mondo. Quando il giudizio si dissolve, il discernimento può emergere: più chiaro, più libero.

Una cultura che giudica, come restare presenti.
Viviamo in una cultura del giudizio: social, aspettative, performance. Ma possiamo scegliere una terza via, restare con presenza.
Riconoscere i condizionamenti: molti giudizi sono eredità culturali, soprattutto per le donne.
Educare al non giudizio: con parole gentili, ascolto, valorizzando la diversità.
Non fuggire, ma trasformare: la libertà non sta nel fuggire, ma nel restare presenti anche nel caos.
Una persona che discerne, più che giudicare, cambia l’energia intorno a sé. E così si cambia anche il mondo.
Vivere senza giudicare: è possibile?
La mente giudica, e non c’è nulla di sbagliato in questo. Ma possiamo smettere di identificarci con il giudizio. Possiamo diventare testimoni. Lo spazio che osserva.
Il cuore della questione non è eliminare il giudizio, ma non farsi dominare da esso. E permettere al discernimento di guidare le nostre scelte.
E questo non è un traguardo. È una pratica, un cammino. Un modo diverso di abitare se stessi. Con più libertà. Più amore. Più umanità.
Giudicare è facile.
Comprendere è rivoluzionario.
Namasté